Poesia di Primavera

Riprendendo in mano i miei vecchi carteggi col Niberti (quelli più recenti sono molto meno fascinosi e polverosi, data la loro natura elettronica), ho scovato una poesia di cui avevo scordata l’esistenza. Probabilmente quando la lessi, un maggio di alcuni anni fa (la lettera sulla quale è trascritta è datata 28/05/2003), la poesia non mi colpì; o forse soltanto la lessi superficialmente, per poi abbandonare lettera e busta alla sedimentazione di cellulosa sul comodino, venendo meno così al proposito di rileggerla.
Bizzarro, ad ogni modo: poiché il periodo dell’anno era quello che più si addiceva alla sua lettura. Ma, del resto, di lì a poco avrei affrontato l’esame di maturità, incombenza che senz’altro mi teneva lontano da quello stato d’animo incline alla riflessione – o meglio, al divagamento di pensiero – che è fatto tema del componimento.
Mi domando se almeno diedi un qualche responso di lettura all’amico poeta – temo, a dire il vero, di no: nella corrispondenza che seguì non c’è alcun’altra traccia della poesia, nemmeno un accenno. Forse lo liquidai per correttezza con un “Grazie, la rileggerò con più calma”. Di lì a poco, per di più, il nostro carteggio si sarebbe interrotto, dall’Agosto di quell’anno al finire del 2004, quando riprese con uno sparuto bigliettino del Niberti, dove egli mi comunicava un suo cambio di domicilio e, in calce, l’indirizzo di posta elettronica.

Ieri l’altro, invece, affrontandola nuovamente dopo quasi quattro anni (e, d’un certo senso, scoprendovela per la prima volta), questa ‘Poesia di Primavera’ – come ho preso a chiamarla alterandone il titolo – mi ha proiettato poco a poco in una dimensione di contemplazione, o assenza, subito trovando risonanza nella malinconia del pomeriggio uggioso.
E’ col riverbero di quel suono ancora aleggiante che vi propongo il sonetto, sperando che possa aprire anche in voi lo spazio di una dilatata vaghezza.

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ASPETTANDO PRIMAVERA
Pietro Maria Niberti

Aspettando quella nera irondella,
la qual soletta certo non può far
la primavera e fresca e monella,
vieppiù sto a rimirar il Sole al calar.

Quando Luna sorella s’erge ella sola
nel ciel che distante a noialtri cinge
d’un colpo, ecco d’improvviso vola
tal materia soggiacente alla meninge.

Dov’ella vola sol’ella lo sa,
stante che mai là fora ristette
ma dentro tra sé sempre ristagna.

Quanto a me, mi sto alla campagna,
lasciando ella alle sue piroette;
malcontento, il tempo
s’en va.

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8 Responses to Poesia di Primavera

  1. vale ha detto:

    metricamente non è proprio ineccepibile… ma il niberti nn usa mai il verso libero?

  2. Nigi Merenda ha detto:

    Un esempio di uso del verso libero da parte del Niberti è ‘Sorte da basse maree’, con cui è iniziata la pubblicazioni di poesie del poeta siculo-veneto su questo blog.
    Invito Alberto S., massimo studioso italiano dei paradigmi metrici nibertiani, a lasciare un contributo chiarificante al proposito.

  3. paddy ha detto:

    Un Niberti inaspettato, così introspettivo e contemplativo, eppure al tempo stesso così nibertiano, ci accompagna col suo linguaggio a volte desueto, ma reso familiare – quasi intimo – dalla leggera fluidità dei suoi versi, ci accompagna, dicevo, a seguire i voli della sua ragione. Un Niberti che abbandona per una volta le sue picchiate prosaiche e che ci culla con esplorazioni linguistiche provenienti dal suo vissuto, dai venetismo “mi sto, noialtri, fora”, al francese “s’en va”. Ancora una volta, il Niberti ci offre grande poesia.

  4. paddy ha detto:

    e io che pensavo che la rondine fosse un particolare di un quadro di Botero…

  5. alberto ha detto:

    Disarmante la varietà di forme, stili e temi fino ad adesso riscontrati nei componimenti del Nostro. Voglio credere, tuttavia, che tanta stucchevolezza e compiacimento manieristico uniti a scene-tipo da poesia che alle elementari mandavamo giù a memoria ( a tal proposito ricordo “La lièvre” nel film “Les 400 coups” di Truffaut ) siano un gioco letterario, un modo per prendere in giro tanta critica letteraria, che ha elevato al rango di poeti personaggi come Carducci o Monti, e banalizzato e misinterpretato veri poeti come Leopardi. Vista così, “Aspettando Primavera” mi sembrerebbe una maniera finissima di far passare un’acre rampognata al mondo rispetto al quale il Niberti è sempre rimasto al margine, se non completamente escluso. E’ però vero che non abbiamo elementi a sufficenza per inquadrare con certezza la poesia suddetta: dobbiamo limitarci a una sorta di epoché in attesa di altre produzioni di questo autore.

  6. paddy ha detto:

    Carissimo, esimio Alberto,
    permettimi di dissentire umilmente dalla tua fine disamina dell’ultimo contributo del grande Niberti: fatico ad individuare qualsivoglia stucchevolezza e compiacimento manieristico in “aspettando primavera”. Non è la ricercatezza linguistica che trasforma una poesia in un’acre rampognata, qualora il Poeta sappia plasmarla in un corpo leggiadro e accennato con alcuni agili tocchi – con un’arte che ricorda gli artigiani vetrai di Burano. Il Niberti accenna colpetti sulla massa ardente della lingua per dare forma ad una poesia che scivola via come un soffio nell’acqua.

  7. Nigi Merenda ha detto:

    Vorrei aggiungere un mio modesto contributo alla discussione – se di discussione si tratta: ché ho l’impressione, piuttosto, che la divergenza tra il Paddy e l’Alberto sia nata da un fraintendimento. Ma tant’è, lascio che siano i due interessati a chiarirsi.

    Quello che mi premeva sottolineare, qui, è il carattere epistolare di ‘Aspettando Primavera’, componimento che non era certo, nelle intenzioni del Niberti, destinato alla pubblicazione. Del resto, quando dieci giorni fa gli esposi la mia idea di farne l’oggetto di un post su questo blog, l’amico poeta non fece riserbo della sua perplessità, se non ostilità all’idea. Grazie al cielo, alla fine ha ceduto alle mie sollecitazioni.

    Affrontando la questione del presunto ‘manierismo’ di questa poesia del Niberti, mi pare non si possa negare che la regolarità dello schema di rime (benché la metrica non sia ineccepibile; ma a questo soprassediamo) e l’uso di immagini e termini piuttosto banali – da poesia campestre, mi verrebbe da dire – facciano pensare ad un idillio di maniera.
    Ciononostante, è facile notare alcuni elementi dissonanti, quali la ‘materia soggiacente alla meninge’, dalla connotazione medico-anatomica, nonché passaggi chiaramente ironici, quale il ‘Dov’ella vola sol’ella lo sa’, che riporta ‘a terra’ il volo (della ‘materia’, contrapposta alla rondinella); da tali indicatori si evince un senso più ampio per il componimento, non riducibile alla sua forma e al suo tema ‘immediati’. Tale senso, a mio avviso, ha a che fare col gioco, lo scherzo, la presa in giro: e della struttura formale (dove il compiacimento manieristico viene messo alla berlina proprio dove viene praticato), e dello svolgimento di un tema che si vorrebbe lineare (quello della contemplazione assorta della natura): è come se il Niberti ci portasse per mano verso un’armonia romantica fra il poeta e la natura e, proprio sul punto in cui questa sembra realizzarsi, la frantumasse sotto i nostri occhi rivelandone la fallacia.

    Ma il filo conduttore della poesia non è una eventuale nota pessimistica, bensì il piacere stesso di giocare con la poetica, le sue forme ed i suoi temi. E in questo, se permettete, non posso che vedere il Niberti in uno dei suoi caratteri più propri.

  8. alberto ha detto:

    Pienamente d’accordo con Nigi…Mi pare di aver detto la stessa cosa con parole diverse. O no?

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